Proprio il 21 marzo, primo giorno di programmazione del Ca’ Foscari Short Film Festival, il suo Riccardo va all’inferno sarà tra i protagonisti dei David di Donatello 2018, in corsa su ben 5 fronti (Miglior Canzone Originale, Miglior Scenografo, Miglior Costumista, Miglior Truccatore e Miglior Acconciatore).
Roberta Torre si è fatta portatrice, nel 1997, di una svolta cinematografica epocale, con il suo Tano da morire in cui mafia e rap andavano a braccetto in salsa pop, “storia parlata, cantata, suonata e un po’ ballata di Tano Guarrasi” come la definì Morando Morandini che valse alla regista un David di Donatello e un Nastro d’Argento, al film il Premio Opera Prima della Mostra del Cinema di Venezia. Una carriera portata avanti all’insegna della potenza delle immagini che la vede arrivare come giurata alla manifestazione che Ca’ Foscari inserisce nel cuore dei festeggiamenti per i 150 anni della propria Fondazione, assieme ad altre innumerevoli inziative ad ampio raggio culturale. Abbiamo parlato con lei di cinema e visione, di sguardi da riempire e musiche da immaginare.
Ottava edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, prima rassegna
interamente concepita, organizzata e gestita da studenti: qual era il
suo sguardo verso il cinema da studente e quanto questa visione è
cambiata in età adulta?
Ho sempre mantenuto uno sguardo profondamente
innamorato nei confronti del cinema, questo mi ha permesso di
continuare a guardarlo con passione e a volerlo poi fare. Ci sono poi
delle pellicole che fin da studente sono rimaste indelebili nella mia
mente, tra tutte di certo La scala a chiocciola di Robert Siodmak e
Giovanna d'Arco di Carl Theodor Dreyer, film che ho visto quando ero
molto piccola e che mi hanno regalato delle immagini che ancora adesso
conservo ben stampate nella memoria e nel cuore.
Il periodo di
formazione rispetto al cinema è fondamentale, perché si creano delle
immagini che saranno poi autentica guida per il futuro, per lo sviluppo
di una carriera che non necessariamente sfocia poi nell'attività di
regista. Ho iniziato molto piccola a vedere film e il mio era un consumo
assolutamente famelico: ho avuto la grande fortuna di poter vedere
tutti i più grandi film al cinema, nell'approccio unico che solamente la
sala sa offrire e che continuo a ritenere il migliore possibile, da
consigliare a tutti in quest'epoca in cui il cinema si può vedere ormai
da ogni device esistente. La Cineteca di Via San Marco a Milano, che ora
purtroppo non esiste più, era un appuntamento fisso per me, un punto di
riferimento che frequentavo una o due volte alla settimana. Ovviamente,
come per la memoria di un computer, lo sguardo con il tempo si riempie
sempre di più. Ecco che allora bisogna scegliere bene cosa vedere,
evitare in tutti i modi i film brutti e le cattive immagini che questi
si portano dietro, non permettere che il proprio occhio subisca il
bombardamento di immagini a cui tutti oggi siamo sottoposti, volenti o
nolenti. È fondamentale essere molto selettivi in ciò che si vede.
In
relazione a questi primi film visti, all’età della formazione, ci sono
delle aspettative che poi sono andate deluse nel corso della sua
carriera?
Essendo cresciuta con dei modelli di livello così alto,
avendo avuto il privilegio di vedere dei grandi film e di aver lavorato
con grandissimi autori, come per esempio Ermanno Olmi, diventa per certi
aspetti difficile ‘tornare sulla Terra’. Di certo non mi sarei
aspettata un tale impoverimento a livello visivo pari a quello che ci
troviamo a vivere in questo momento nel cinema italiano, un contesto
molto ricco in termini di scrittura ma assai povero visivamente. Questa
scarsa ricerca in termini di immagine è un elemento che sento di
soffrire molto come spettatrice, convinta come sono che il cinema non
possa prescindere dalla pittura, dalla fotografia, dal colore o dal “non
colore”, tutte scelte estetiche che considero determinanti per la buona
riuscita di un film. Mi piacerebbe vedere più pellicole italiane
attente a questi particolari aspetti; personalmente la raccolta e la
scelta delle immagini è sempre il mio primo passo nella realizzazione di
un film, ancora prima dello sviluppo della storia vera e propria.
Al
centro dell’edizione di quest’anno dello Short il rapporto
madre-figlio, da lei affrontato anche ne I baci mai dati, passato con
grande successo a Venezia e al Sundance. Quali gli stimoli e le
difficoltà incontrati nell’affrontare un argomento tanto complesso? Cosa
cerca in questa direzione nei corti del Concorso Internazionale che è
chiamata a valutare?
Il cinema si nutre di corpi e rapporti, la loro
messa in scena è l'elemento base di cui il cinema stesso è fatto. Stiamo
parlando di uno dei rapporti più complessi e articolati che la gamma
umana possa presentare e il cinema possa aver mai rappresentato. Abbiamo
degli esempi dal passato che ancora oggi rimangono ben vivi nella
nostra memoria visiva; penso a Bellissima di Luchino Visconti o a La
ciociara di Vittorio De Sica, tanto per rimanere a due veri capolavori.
Non credo sia un tema che si potrà mai esaurire vista, appunto, la
complessità che ne caratterizza gli sviluppi. La difficoltà e il
pericolo principale nell'affrontare questo argomento credo possa essere
quello di cadere nello stereotipo: spesso questo tipo di dinamiche,
soprattutto al femminile, si nutre di stereotipi. Non so se questo sia
un tranello in cui i film in concorso siano caduti; mi auguro di vedere
delle cose che scongiurino il più possibile questo rischio e questa
pratica.
Il film di Visconti in particolare lo considero
straordinario anche e soprattutto nella sua intrinseca violenza nel
restituire la complessità di questa relazione, mentre nello stereotipo
oggi vedo che a mancare è soprattutto il racconto degli aspetti più cupi
di questo rapporto, che nella realtà purtroppo esistono e che in una
efficace restituzione in scena è assolutamente fondamentale
rappresentarli autenticamente. Bellissima da questo punto di vista è un
film tremendo, spietato, crudele, che non ha paura di osare: tutti
elementi che fanno in modo che lo stereotipo venga scalfito.
Nel
corso della sua carriera di regista per cinema e teatro, di drammaturga e
di artista visuale ha ricoperto anche ruoli didattici in Italia e
all’estero: come si approccia al ruolo di giurata?
Sono molto
contenta di avere a che fare con ragazzi che si trovano ad iniziare un
percorso nel mondo del cinema e che hanno uno sguardo se non vergine,
cosa praticamente impossibile al giorno d'oggi, comunque fresco e
caratterizzato da una sensibilità che si può ancora indirizzare e
guidare. Mi piace guardare più alla pratica che alla teoria; tendo a
dedurre la seconda dalla prima e credo che sia sempre entusiasmante
entrare in contatto con energie nuove, che hanno potenzialità e
possibilità.
Componente fondamentale delle sue pellicole è senza
ombra di dubbio la musica. Come questo elemento viene combinato con gli
altri ingredienti di un film?
Per me la musica è visione totale,
fatta con le orecchie ma da mettere esattamente allo stesso livello di
quella portata avanti con lo sguardo a cui facevo riferimento prima,
componente imprescindibile nella creazione di un mio film. Musica e
immagini rappresentano il foglio su cui poi andrò a scrivere tutto il
resto: precisamente prima arrivano le immagini e subito dopo l'elemento
sonoro.
Crede possa esistere un genere musicale che si dimostra particolarmente adatto o legato al cinema?
Secondo
me no. Possono esistere dei compositori caratterizzati da un talento
particolare nel mescolare le immagini e dare a queste immagini una
‘visione sonora’, questo di sicuro sì. Compositori che non sono dei
semplici “accompagnatori di immagini”, ma che piuttosto si configurano a
loro volta come autentici “creatori di immagini”, dando la possibilità
allo spettatore di seguire il percorso del film attraverso questo doppio
binario, senza che una delle due chiavi di lettura prevarichi l’altra.
Guardando
al passato penso di sicuro a Bernard Herrmann, compositore e direttore
d'orchestra che ha realizzato quasi tutte le colonne sonore dei film di
Alfred Hitchcock, eccezionale maestro nell'evocare immagini e atmosfere
fondamentali per la buona riuscita del film.
Guardando in Italia è
naturalmente impossibile non fare riferimento al talento impareggiabile
di Ennio Morricone: se noi pensiamo per un solo istante alle sue colonne
sonore ecco che immediatamente il nostro sguardo è inondato dalle
immagini dei film che questi suoni hanno accompagnato. Penso, che so, a
Il buono, il brutto, il cattivo per la modernità delle trame sonore, ma
ovviamente gli esempi potrebbero essere tanti altri. Quando ho
girato Marenero ho lavorato con un grande artista come Shigeru
Umebayashi, a sua volta più volte collaboratore di Wong Kar-wai, e ho
avuto modo di vedere quanto questo compositore fosse maestro nel creare
non solo suoni e melodie, ma atmosfere vere e proprie, come nel caso di
In the Mood for Love.
I progetti futuri, cinematografici e non.
Al
momento sto lavorando alla stesura di un altro musical, stavolta però
un lavoro su commissione su cui quindi non posso sbilanciarmi molto.
Sono poi in piena fase di raccolta creativa per il mio prossimo lavoro.
Sto cominciando a raccogliere immagini: tutto parte da qui, da quello
che il mio sguardo seleziona per arrivare ad una storia da raccontare,
tra visioni ottiche e sonore.
«8. Ca’ Foscari Short Film Festival»
21-24 marzo Auditorium Santa Margherita
https://cafoscarishort.unive.it
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